LA “RIFORMA” TREMONTI-GELMINI VA BLOCCATA !

LA “RIFORMA” TREMONTI-GELMINI VA BLOCCATA !

Con il blitz del 6 agosto il governo Berlusconi ha convertito in legge il decreto 112 – impudentemente chiamato “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” – proseguendo il processo di “riforma” da parte della destra di Scuola e Università. Ormai da un mese contro questo provvedimento scendono in piazza allievi, genitori, maestri, professori, personale tecnico e amministrativo, precari dell’insegnamento. La mobilitazione è forte anche nelle Università: la protesta di studenti, dottorandi, precari della ricerca si estende da Torino a Palermo, passando per Milano, Genova, Pisa, Firenze, Bologna, Roma… Alcune facoltà sono già state occupate, in altre i corsi sono stati bloccati, la didattica interrotta.


Non c’è da sorprendersi: tutti quelli che vivono e lavorano nelle scuole e nelle università hanno capito che il provvedimento Tremonti-Gelmini rappresenta un forte attacco a tutto il mondo della formazione, hanno capito che dietro a parole come “semplificazione” e “stabilizzazione” c’è il disimpegno dello Stato, che “competitività” e “perequazione” vogliono in realtà dire “svendita”. Dalle scuole materne fino a quelle di dottorato e oltre, tutto il sistema dell’istruzione viene destrutturato, attraverso tagli ai fondi, precarizzazioni, blocco delle assunzioni…

La legge 133/08 non rappresenta però una novità assoluta: si inserisce infatti in quel processo di smantellamento dell’istruzione pubblica intrapreso da almeno 15 anni sia dai governi di centrodestra che di centrosinistra. È da tanto infatti che si susseguono supposte “riforme”, volte ad assecondare i dettami ideologici del neoliberismo, il quale mira a ridisegnare a suo piacere i rapporti fra capitale e lavoro, tagliando spese sociali come sanità, salari e  pensioni, diffondendo ovunque precarietà e insicurezza.

Di questo processo l’Università ne ha particolarmente risentito. È naturale, è un posto-chiave, da “occupare” a ogni costo: qui infatti si indottrinano le future élite, e si abituano al lavoro i precari di domani. Già la riforma che introduceva il famigerato “3+2” aveva assestato un duro colpo al sistema: gli studenti, frammentati in miriadi di lauree differenti quanto inutili, sono costretti a seguire obbligatoriamente i corsi, a raccattare “crediti” qua e là, a piegarsi a forme di lavoro non retribuito sotto la forma dello stage, studiando in modo parcellizzato, ossessivo e meccanico. 

Eppure il provvedimento Tremonti-Gelmini riesce a fare peggio. Grazie a un’inedita e violenta campagna mediatica volta a criminalizzare il posto fisso (è per i fannulloni!), a sottolineare le inefficienze del settore pubblico, a introdurre il finto criterio della “meritocrazia”, si tenta di riportare la Scuola e l’Università indietro di 40 anni, mirando a creare un’Università di serie A, fatta di poli di eccellenza dove educare i dirigenti di domani, e di serie B, dove ammaestrare i futuri lavoratori a basso costo.
Come già sperimentato altrove, si cerca di distruggere in tutti i modi il settore pubblico per poi poter far valere l’emergenza, e attuare, per direttissima e sotto il paravento ideologico della “riforma”, provvedimenti che minano le fondamenta del sistema pubblico.   

ECCO COSA PREVEDE LA LEGGE DI TREMONTI E GELMINI

– Blocco delle assunzioni: nei prossimi tre anni è prevista una sola assunzione ogni cinque pensionamenti. Il che vuol dire una drammatica riduzione del turn over e un conseguente invecchiamento della classe docente, già ora fra le più vecchie d’Europa. Ciò segnerà anche l’impossibilità d’accesso alla ricerca ed alla didattica dei più giovani, allungando in modo insostenibile i tempi del reclutamento. Saranno assunti solo i pochissimi che possono aspettare i tempi delle lunghissime e indecorose “liste d’attesa”: per gli altri che non vengono da una famiglia benestante c’è la rinuncia o la fuga all’estero. Un abbandono che impoverisce tutta la società, visto che l’istruzione e la ricerca non sono spese superflue, ma ciò su cui si gioca il futuro di un paese.
 
Taglio ai fondi di finanziamento ordinario: fino al 2013 sono previsti tagli per 1mld 441 milioni di euro, una sottrazione pari a circa il 20% in meno ogni anno rispetto al bilancio 2008. Bilancio peraltro già irrisorio, visto che il 90% delle Università è costretta già da ora a sfondare i tetti di spesa. Questi tagli porteranno a un aumento indiscriminato delle tasse e del numero di studenti per docente, e ad un ulteriore peggioramento della qualità della didattica, della ricerca e di tutti i servizi, con riduzione delle borse di studio, peggioramento o chiusura di mense, biblioteche, laboratori, segreterie, residenze universitarie…


Possibilità di trasformare le Università in fondazioni di diritto privato: per finanziarsi e sfruttare al massimo la loro “autonomia” (ma autonomia da cosa? Dai vincoli di civiltà che la collettività pone agli interessi smodati del mercato!), le Università apriranno a soggetti privati, come singoli finanziatori o aziende, l’accesso negli organi direttivi degli Atenei. Chiaramente, nessuno dà niente per niente, e così verrà alienato ciò che appartiene a tutti. Conseguenze: adeguamento dei programmi agli interessi delle aziende, maggiore controllo della ricerca (saranno infatti finanziati solo i programmi che rientrano in determinati criteri stabiliti dal governo o dall’UE), sino alla svendita “materiale” del patrimonio immobiliare per reperire fondi.

Come dottorandi, borsisti, precari della ricerca, ricercatori a contratto, a tempo, “a clemenza” e sempre “a disposizione”, giudichiamo questa riforma, più ancora delle precedenti, una vera e propria barbarie. In consonanza con la ristrutturazione neoliberista del mercato del lavoro, siamo frammentati in miriadi di contratti diversi, sottopagati o senza alcuna retribuzione, senza diritti né riconoscimenti di alcun tipo, vincolati a logiche baronali e di cooptazione. Possiamo accedere ad un contratto decente solo se “affiliati” alla giusta cordata di ordinari, siamo costretti a subire la spartizione di posti ad personam, e meccanismi di reclutamento corrotti e farseschi, portati avanti da gruppi di potere attraverso lo scambio di favori. E questo nonostante la Costituzione preveda concorsi aperti e trasparenti per l’accesso alle cariche pubbliche (art. 97), sia “fondata sul lavoro” protetto e a tempo indeterminato (art. 1) e debba operare per “la rimozione di tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3)!
Questi elementi ci rendono difficile riconoscerci come soggetto e iniziare qualsiasi tipo di lotta. Ma di fatto nelle mansioni, nella nostra attività quotidiana, noi siamo un soggetto unitario. Si fa tanto parlare della nostra presunta debolezza, della nostra impossibilità di essere motore di questo movimento senza l’appoggio di poteri forti, delle istituzioni e dei vari baroni. Noi pensiamo invece che siano loro ad essere deboli e ad aver bisogno di utilizzare (e gestire a loro piacimento) la protesta per difendere i loro privilegi. Dobbiamo essere accorti e realisti: oggi ci blandiscono in nome di un presunto interesse comune, ma domani la carrozza tornerà zucca, e, come tutte le teste di legno, una volta divenuti inutili, verremo scaricati.

All’Università italiana mancano almeno 30.000 ricercatori per rientrare nella media OCSE. Abbiamo il minor numero di dottori di ricerca e di ricercatori per abitante d’Europa. Non certo per preoccupazioni di ordine sociale o culturale, ma solo per “armarsi” nell’aspra competizione del mercato globale, i governi dell’UE si sono impegnati nel 2002 a destinare alla ricerca almeno il 3% del PIL: il nostro paese ne spende oggi l’1%. Ma anche in un periodo di crisi economica vanno cercate altrove le spese da tagliare: l’Italia è all’8° posto al mondo per spese militari (25mld di euro, oltre il 2% del PIL, in incremento continuo), senza parlare dell’evasione fiscale e dei 3mld di euro impegnati per finanziare i privilegi di una delle classi politiche più ricche e corrotte d’Europa!

Oggi più che mai rivendichiamo il fatto che l’Università si regge sul lavoro di circa 60.000 precari, di fatto la metà di tutti addetti alla didattica e alla ricerca. Insieme agli studenti e ai lavoratori sono i primi a risentire di questa situazione, e, proprio come loro, non hanno privilegi da difendere e devono dunque allearsi per contrastare l’asservimento del pubblico agli interessi del privato e ai disegni di Confindustria, messi in pratica dal governo di centrosinistra prima, e da quello di centrodestra oggi.
Non vogliamo difendere l’Università del presente, classista e baronale, ma rilanciare: ripensare la Scuola e l’Università come luoghi di critica e strumenti sociali di emancipazione, aperta al territorio ed alle forze progressive della società.


CONTRO LA TRASFORMAZIONE DELLE UNIVERSITÀ IN FONDAZIONI !
CONTRO IL BLOCCO DELLE ASSUNZIONI !
CONTRO I TAGLI AI FINANZIAMENTI !

LOTTIAMO UNITI ASSIEME A STUDENTI E LAVORATORI
PER BLOCCARE LA RIFORMA E PER UN’UNIVERSITÀ LIBERA E ACCESSIBILE A TUTTI !

DOTTORANDI E RICERCATORI DELLE UNIVERSITÀ DI NAPOLI
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