ecco i frutti della gelmini

a quante pare le preoccupazioni espresse nello scorso post non erano fuoriluogo… un’altra ragione per dire: maledetta Gelmini! 

da "Il Mattino", 07-06-2009
Napoli, bravissima a scuola e clandestina. Senza codice fiscale niente maturità
Daria è ucraina, parla sei lingue e fa la badante. Dopo tre anni la legge la ferma. Si mobilita l’istituto Margherita di Savoia

Il futuro, per chi è clandestino, vale un tesserino di plastica e sedici caratteri. Un codice fiscale a segnare il confine tra il reato di clandestinità e un sogno. Daria ha grandi occhi verdi, vent’anni e tanta voglia di studiare, frequenta il quinto anno del liceo linguistico «Margherita di Savoia», nei pressi di piazza Dante, nel cuore di Napoli. Questo è l’anno del suo esame di maturità ma una circolare di Stato le ha bloccato la strada. Daria è ucraina e clandestina, non ha documenti italiani, tantomeno il codice fiscale che da quest’anno è obbligatorio per sostenere la prova scolastica.

Il ministero dell’Istruzione, per compilare l’anagrafe dello studente, sta infatti rilevando i dati relativi a ogni singolo candidato, compreso il codice fiscale che passerà al vaglio dell’Agenzia delle entrate. Il termine per inserire i dati sul sito del Ministero è dopodomani. «Sto esaminando la situazione – spiega il preside del liceo linguistico, Carmine Santaniello – spero di trovare una soluzione a breve. La circolare voluta dal ministro Gelmini è un diktat chiaro: senza codice fiscale non si può sostenere l’esame. Daria è stata iscritta tre anni fa in base alle normative vigenti, ha frequentato regolarmente e adesso ci troviamo dinanzi a questo problema. Cercheremo di risolverlo».

Perché la burocrazia stavolta (e una volta di più) pare portare proprio in un vicolo cieco. C’è, infatti, una norma (bella e civile) che sancisce come «tutti i minori, presenti sul territorio nazionale e nei diversi gradi e ordini di scuola hanno diritto all’istruzione, indipendentemente dalla regolarità della loro posizione di soggiorno» (articolo 45 del Dpr 31 agosto 1999, numero 394, «Regolamento di attuazione del decreto legislativo numero 286/1998 sulla disciplina dell’immigrazione e sulle condizioni dello straniero»). Diritto all’istruzione che vale, evidentemente, fino alle soglie dell’esame di maturità perché per la prova finale c’è una circolare (22 maggio 2009) che impone il possesso del codice fiscale.

E adesso? «Adesso ho paura». E gli occhi di Daria tremano insieme alla sua voce. «Paura di finire in carcere, lo stesso timore che ho da cinque anni ogni volta che vedo un poliziotto. Io voglio solo studiare, costruirmi un futuro, vorrei il mio diploma». Un pezzo di carta che la ragazza di Donetsk si è sudata non solo sui libri. «Abito a piazza Carlo III. A casa siamo tutti clandestini perché non riusciamo a diventare regolari. Eppure da quattro anni mamma fa le pulizie ad ore e il mio papà, poverino, lavora tantissimo, fa il saldatore. Io un po’ di tutto: lavo le scale dei condomini, faccio le pulizie, la baby sitter, la badante. E poi studio, mi piace tanto farlo». Gli occhi verdi si rasserenano e fissano quelli di Alfonso, vent’anni anche lui, salernitano con una laurea di Ingegneria da conquistare a Fisciano. «Ci conosciamo da poco – racconta Daria – ma pensiamo già al futuro insieme. Abbiamo parlato a lungo di questo diploma. Dopo vorrei iscrivermi all’università: Scienze Politiche o la scuola per Infermieri. Non mi spaventano i sacrifici e, in questi giorni, sto ricevendo tanto affetto dai professori e dai miei compagni. I napoletani sono gente buona».

Il Margherita di Savoia si è, infatti, mobilitato per aiutare Daria. Professori che si sono offerti di assumerla per regolarizzarla, il preside che cerca una soluzione tecnica, i compagni che stanno per lanciare una petizione. Persino all’Agenzia delle entrate hanno avuto tenerezza per il suo viso pulito. «Quando gli ho chiesto il codice fiscale mi hanno detto: ”Scusaci non possiamo, anzi è meglio che vai via”. Allora ho capito. Ed è tornata la paura».
Daria è una studentessa in gamba, parla sei lingue e in Ucraina ha già un titolo di studio «finito». «Tre anni fa ho dovuto ricominciare tutto – racconta – ma va bene così. Ho accettato di vivere da clandestina». Una vita da invisibile. Una visita dal dottore significa un’attesa di almeno dieci giorni e poco importa se stai male davvero, lei che non ha reddito ha dovuto pagare tutti i libri («Quello di Filosofia costa 42 euro!»), Daria non sa cosa sia una gita scolastica perché ha paura di essere scoperta, paura del proprio nome. Nome illegale che non dà diritto a un banale codice fiscale. «Io non ho mai violato la legge, lavoro tanto, perché senza il codice fiscale automaticamente divento una delinquente? Perché in un paese democratico io devo diventare un’ombra invisibile per non finire in galera? Io ho paura di perdere la casa, vivo sulle valigie, perché da un giorno all’altro mi possono cacciare via. Due anni fa ho chiesto di essere regolarizzata, da allora non so nulla». La burocrazia dei vicoli ciechi.

Daria stringe un libro, muove le mani con il riflesso di chi deve difendere qualcosa. Voleva smettere di studiare, poi l’affetto dei suoi e la premura di docenti e compagne l’hanno convinta. «Devo finire la mia tesina. Come tema ho scelto il razzismo. Ma non perché gli italiani lo siano, anzi. Ho studiato in lingua originale i discorsi di Martin Luther King e mi hanno affascinato. Il più bello? “I have a dream”. Io ho un sogno».

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